Costa Concordia: il mistero dell’errore umano

In questi ultimi anni, l’industria del trasporto marittimo, e non solo, si è dato degli obiettivi di miglioramento della struttura e dell’affidabilità dei sub-sistemi di una nave (energetico e cinematico) al fine di ridurre gli incidenti a mare; si è cercato e si cerca di  aumentare l’efficienza e la produttività; infatti, alla marine safety ha partecipato l’evoluzione dei miglioramenti nel design della carena, dei sistemi di stabilità, della propulsione, e della navigazione.

Oggi, possiamo dire, che la nave è un “sistema”, tecnologicamente avanzato ed altamente affidabile, che realizza il processo del trasporto marittimo. Ma il tasso di sinistri marittimi è ancora elevato: perché? Perché con tutta questa tecnologia avanzata non si è ridotto il rischio di incidenti? Queste domande ci conducono ad una riflessione: il sistema del trasporto marittimo non è costituito solo da navi, porti, banchine e mare, ma è fatto anche e soprattutto di uomini!

La maggior parte delle vittime in mare è causata , da una multiforme di errore umano, anche se pur minima. Dalle statistiche dei gruppi di assicurazione navale, notiamo che 80% di incidenti riguardano le petroliere; 75% riguardano rimorchiatori (incagli e off-shore); 90% le collisioni; 75% incendi ed esplosioni.

Tutto questo ci porta, prima di tutto, a stabilire le tipologie di errori umani che causano vittime; identificarli, poi, nell’unico modo che abbiamo e cioè studiare i vari sinistri ed il modo con cui questi  avvengono. E’ superfluo ricordare che gli incidenti non sono di solito causati da un singolo guasto o errore, ma dalla confluenza di una serie, o catena, di errori, verso l’ultimo errore che genera con “successo” il disastro. Ma che cosa intendiamo per “errore umano”?

L’errore umano, che ha destato tanta discussione dei media, caso nave Concordia,  è stato descritto come una decisione errata, un’azione impropriamente eseguita, o una mancanza impropria di azione (vedasi l’ordine dato al comandante Schettino di risalire a bordo), una vera “inazione”del preposto. Non esiste teoria degli errori per spiegare l’errore umano, se non il metodo per fornire esempi derivanti dallo studio di reali sinistri marittimi. Possiamo solo annoverare le fonti di errori; la fatica, lo stress da lavoro, la prima considerazione che porta a considerare la safety marittima al pari di quella aerea.

Le comunicazioni inadeguate, soprattutto quelle da nave a nave e nave e capitaneria di porto; conoscenza inadeguata dei sistemi energetici e cinematici della propria nave (progettazione non adeguata dell’automazione di bordo per quella particolare nave). Descrizioni e standard difettosi di pratiche organizzative della compagnia, passate come best practices; oltre ad un ambiente naturale, in cui si muove la nave, che si traduce in una interfaccia aria-acqua interpretata con superficialità.

Molte tipologie di errori umani sono state descritte a seguito di tanti sinistri marittimi e per la maggior parte di essi non sono stati considerati da tante perizie come la causa singola per la “colpa” di un solo operatore umano. L’unica certezza derivante dai vari studi è che gli errori tendono a verificarsi come risultato (catena) di tecnologie, ambienti di lavoro, e fattori organizzativi che non prendono in considerazione il limitato interagire delle persone che vi operano (differenza di tempo per un operatore tra il leggere un ambiente ed interpretarlo).

Abele Carruezzo