Dalla intermodalità alla Hintermodality

Più volte abbiamo scritto che il successo di un porto non è determinato dai soli fattori o condizioni tecnico-geografiche; ma anche dalla presenza di componenti del terziario trasportistico e logistico che rendono una catena ad alto valore aggiunto. Quindi una pianificazione portuale (primo anello della catena) deve tener conto degli altri due anelli economici: reti di imprese interconnesse al porto ed il territorio circostante.

Infatti, oggi, non esiste la concorrenza fra porti di una regione marittima, ma è più corretto parlare di competizione e concorrenza fra catene logistiche di filiera: scalo portuale, dogana, ferrovia, distripark, terminal terrestri, spedizionieri internazionali e soprattutto compagnie di navigazione. Cioè, diventa importante il nodo che esiste tra territorio e logistica e non tanto quello tra territorio e porto; anche perché quest’ultimo legame è più articolato con le città portuali della regione marittima.

E comunque, tutti sanno che scaricare merce da una nave, sdoganarla, stoccarla, manipolarla è più produttiva per un territorio marittimo rispetto alla sola operazione di transhipment: trattare logisticamente un collo di merce è dieci volte superiore economicamente rispetto al solo transito. Si va affermando, in questi ultimi anni, un processo di valorizzazione delle merci in ambito retroportuale (inteso questa volta nel senso più ampio: retro/regione marittima), perché si genera un doppio effetto economico/territoriale: da un lato si attirano investimenti – effetto calamita – e dall’altro si genera un polo/agglomerato di innovazione e di cultura/knowledge logistica a servizio del territorio e delle filiere produttive a basso inquinamento ambientale, ma con alta intensità di lavoro e riduzione dei c.d. costi di “ultimo miglio”.

Però siamo ancora lontani, in questo campo, rispetto ai porti nord-europei; anche perché molte autorità portuali italiane sono diffidenti ad intraprendere forme di collaborazione (cross-partecipation) con island ports per paura di perdere valore aggiunto e relazioni con aziende del door-to-door. Qualche esempio lo stiamo vivendo nelle relazioni tra interporti dell’Italia settentrionale ed i porti dell’alto Tirreno (Genova, Livorno, La Spezia) In questo tipo di sistema logistico, diventa più importante l’inland terminal e non più il porto. In questa ottica si comincia a parlare di “hintermodality” per rappresentare l’integrazione intermodale con l’hinterland da parte di  più sistemi portuali.

Abele Carruezzo