La riforma portuale italiana scricchiola?

Non è possibile che la maggior parte delle Autorità di Sistema Portuale della nostra penisola si debbano trovare in una certa difficoltà legislativa – burocratica per operare. Non è possibile che tutte le “azioni” e vari progetti per adeguamenti a funzioni e servizi sono inquinate e non adeguati ai relativi “piani regolatori portuali di sistema”.

Molti porti italiani sono impegnati in una trasformazione culturale e tecnologica in atto nello shipping mondiale: vuoi per navi, per fondali, per banchine, per piazzali, per terminal, per comunicazioni e soprattutto per security e safety. Tutto questo non dovrà essere di scontro fra istituzioni ed Enti territoriali, ma di confronto procedurale in orizzonti sicuri e legali. Forse ancora non siamo entrati nella predicazione verbale di “sistema” e ancora si ragiona e si controlla per “commi” di porto singolo, tralasciando obiettivi strategici di sviluppo  sostenibile per l’ambiente e per il territorio.

E’ di oggi che provvedimenti giudiziari hanno colpito i vertici dell’Autorità di Sistema Portuale di Ravenna:  il presidente Daniele Rossi, il segretario generale Paolo Ferrandino ed un funzionario  tecnico. Ora senza entrare in merito alle questioni, una domanda, retorica, la possiamo rivolgere all’ex ministro Delrio: forse qualcosa nei sistemi portuali non funziona?

Oppure tra i “non detto”vi è la trasformazione di una “governance” su stile europeo per frenare la competitività forte, di oggi,  di porti mediterranei  rispetto a quelli del north range? E’ di ieri la nota della Commissione Ue di rivedere tutto sulle reti TEN-T e sui parametri da ri-formulare nella definizione dei porti “core”?  Se è così i porti del Mare Adriatico settentrionale, centrale e meridionale, si troveranno benissimo.

Abele Carruezzo