Incidenti navi container, sono una minaccia poco conosciuta

(Prof. Chunjiang An e nave portacontainer)

Gli incidenti delle navi portacontainer sono una minaccia poco conosciuta, ma emergente per gli ecosistemi marini

L’International Maritime Organization stima che ogni anno si perdono in mare oltre 10.000 container. Migliaia di container cadono dalle navi e vengono dispersi in mare ogni anno. Numeri importanti che ci ricordano come la navigazione internazionale abbia da sempre rappresentato una sfida pericolosa, essendo caratterizzata da elevati rischi come quelli meteorologici o quelli correlati agli attacchi della pirateria. Si tratta di una perdita finanziaria consistente, del valore di decine di milioni di dollari. Questi incidenti hanno provocato la rottura delle filiere di fornitura, danneggiando conseguentemente l’industria manifatturiera.

La causa principale della perdita di container in mare sono le condizioni meteorologiche avverse e le onde causate dal maltempo. L’ancoraggio determina se i container sono mantenuti in posizione. Deve essere robusto e testato per resistere a pressioni specifiche, ma il maltempo può superare questi limiti.

Intanto, sono state identificate delle carenze significative nelle modalità di salvaguardare il carico marittimo trasportato a bordo di navi.

I container vuoti affonderanno perché non sono veramente a tenuta stagna. Alla domanda su quanto tempo un container deve affondare è, ovviamente, impossibile rispondere in modo semplice: ci sono troppe variabili. L’intervallo di tempo dipende dal tipo di carico, dal tipo di container e dalla sua permeabilità e resilienza. Tuttavia, il fattore più determinante è l’entità del danno strutturale al container dopo aver colpito la superficie del mare.

Ultimamente, uno studio del prof. Chunjiang An, associato presso il Dipartimento d’ingegneria edile, civile e ambientale e cattedra di ricerca della Concordia University in Spill Response and Remediation, ha esaminato i rischi che comportano le attuali politiche e strategie che li circondano e le normative che riguardano la segnalazione e la pulizia.

Nonostante l’esistenza di protocolli internazionali sul ‘piano di carico’ di tali navi, i rischi sono spesso trascurati e le normative esistenti in materia di merci marittime presentano carenze significative.

Si stima che l’80% del carico mondiale venga trasportato tramite container da navi, un metodo che è cresciuto vertiginosamente nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale.

Il metodo efficiente ed economico d’imballaggio e movimentazione delle merci attraverso gli oceani del mondo è esploso con la globalizzazione del commercio, registrando un aumento di quasi 20 volte del tonnellaggio dei container negli ultimi 40 anni. Si stima che nel 1980 siano state spedite in container circa 100 milioni di tonnellate. Nel 2020, quel numero ha raggiunto l’incredibile cifra di 1,85 miliardi di tonnellate.

Tuttavia, non tutto questo carico arriva sul mercato. Incendi, collisioni, incagli e altri incidenti marittimi possono causare la fuoriuscita di container in mare e l’affondamento sui fondali oceanici dove essi e il loro contenuto inquinano l’ambiente marino.
In un nuovo articolo pubblicato sul Journal of Cleaner Production, un gruppo di ricercatori di Concordia University sotto la supervisione di Chunjiang An esamina lo stato dell’inquinamento marino dovuto agli incidenti delle navi portacontainer.
I ricercatori affermano che si trovano solo pochissime ricerche sulla questione dei container smarriti, perché non vi è alcun obbligo per gli armatori di segnalarli se non contengono sostanze nocive all’interno.

E ancora, i container trasportati via mare possono contenere prodotti non classificati come nocivi, come la plastica, che se esposta all’acqua di mare può rilasciare sostanze che danneggiano l’ambiente marino.
I ricercatori rilevano che le normative esistenti sul carico delle navi portacontainer sono relativamente permissive, così come la supervisione. C’è poca supervisione internazionale dell’inquinamento marino al di là delle giurisdizioni nazionali, e l’elenco delle sostanze nocive, classificate e contenute nella MARPOL, la principale Convenzione che disciplina la prevenzione dell’inquinamento marittimo, necessita di un aggiornamento.

A peggiorare le cose, l’enorme volume di container marittimi in uso rende difficile ispezionarli tutti a fondo e consente ai caricatori di etichettare erroneamente il contenuto di un container con relativa impunità.
I ricercatori indicano anche i risultati di un programma d’ispezioni del 2008 che ha rilevato che il 34% delle unità ispezionate presentava una sorta di carenza. Questa mancanza di rigore non ha solo un impatto negativo sulla sicurezza, in quanto influisce anche sulla validità della ricerca scientifica sul tema.

La mancanza di dati rende più difficile l’adozione di nuove normative; si crea un circolo vizioso che rende difficile le ispezioni. Fuori dalle navi, nella catena alimentare il prof. An traccia un netto contrasto tra il campo poco studiato dell’inquinamento da container e il campo più maturo della prevenzione e pulizia delle fuoriuscite di petrolio.
Troppe sono le normative sulle fuoriuscite e sversamenti di petrolio, anche per i soccorritori intenti a combattere l’inquinamento e che rendono burocraticamente impossibile pulire il mare da sostanze inquinanti.

Esiste anche poca esperienza in questo campo per affrontare altre fonti d’inquinamento, come le 1.680 tonnellate di plastica che hanno sommerso la costa dello Sri Lanka l’anno scorso dopo che la nave portacontainer X-Press Pearl ha preso fuoco ed è affondata.
Anche gli esperti che hanno partecipato alla recente Conferenza Scientifica Internazionale sulle fuoriuscite di petrolio hanno sollevato la particolare preoccupazione di tali incidenti di navi portacontainer.

I ricercatori scrivono che c’è un urgente bisogno di aumentare la consapevolezza sui rischi posti dalla minaccia emergente dell’inquinamento da container, soprattutto nell’industria marittima ma anche tra il pubblico.
Una maggiore comprensione dei rischi porterà, a loro avviso, a miglioramenti negli standard del settore, nella cooperazione internazionale, nella gestione delle fuoriuscite e nella ricerca scientifica di alta qualità.

Abele Carruezzo